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Claudio Cavazzuti è il preside della scuola paritaria Istituto Sacro Cuore di Carpi, un punto di riferimento importante per la comunità carpigiana. La nostra intervista comincia dall'inizio, ovvero da quella fine-febbraio 2020...

Preside, vorrei chiederle di tornare indietro con la memoria a un anno fa: quali furono le prime reazioni dell'istituto che dirige rispetto alla chiusura e allo 'scoppio' della pandemia?

“Così a caldo, non è semplice inquadrare in modo obiettivo quel periodo. Riavvolgendo il nastro, posso dire che non abbiamo capito subito la portata di quello che stava succedendo. Ci aspettavamo una riapertura più ravvicinata. Come scuola il primo obiettivo che ci siamo dati è stato quello di mantenere il legame con i ragazzi e con le famiglie, attraverso i mezzi che già avevamo messo in essere. Dopodiché, vedendo che la riapertura veniva procrastinata, ci si è strutturati e abbiamo cercato di offrire al meglio una possibile didattica ai ragazzi.”

Una didattica a distanza?

“Ovviamente all’inizio non eravamo strutturati per una didattica a distanza. Probabilmente nessuna scuola, al di là di qualche eccezione fra le secondarie di secondo grado, aveva mai prima adottato questo genere di didattica. Ma da subito ho rilevato un impegno e una reazione molto positiva da parte dei docenti. Per tutti si trattava di vincere qualche resistenza e di addentrarsi in terre incognite. Tutti hanno cercato di approfondire, di trovare delle soluzioni, magari emergenziali. Per fortuna siamo stati supportati anche dalle associazioni di riferimento delle scuole paritarie come AGIDAE (Associazione Gestori Istituti Dipendenti dall'Autorità Ecclesiastica), FIDAE (Federazione Scuole Paritarie Cattoliche) e FISM (Federazione Italiana Scuole Materne) che ci hanno messo a disposizione piattaforme digitali come Cisco Webex per le video conferenze.”

In quanto tempo siete riusciti a riorganizzarvi?

“Abbiamo iniziato a utilizzare i nuovi strumenti in tempi tutto sommato non lunghissimi. Già nel corso delle prime settimane di marzo eravamo piuttosto organizzati. Dopodiché c'è stata tutta la traversata nel deserto, piuttosto lunga e faticosa. Il nostro compito è stato quello di cercare di mantenere vivo l'entusiasmo dei ragazzi anche verso questo nuovo tipo di didattica che, come tutte le cose, inizialmente si presentava come una novità stimolante, ma alla fine rischiava di mostrare i limiti, di risultare spersonalizzante, e anche stancante.”

Si può parlare di DaD per i bambini con meno di 6 anni?

“Ho in mente soprattutto primarie e secondarie. Rispetto al nido e alla scuola dell'infanzia, il tentativo è stato diverso. Fondamentale è stato tenere vivo un legame con le famiglie, una pratica che stiamo perseguendo anche adesso. È stato decisivo mantenere un legame e un ascolto con le famiglie.”

In che modo?

“Per esempio preparando e inviando video, filmati che potessero guardare insieme ai bambini, tenendo conto che l'attenzione di bambini piccoli rispetto allo schermo non può essere prolungata. Non era ipotizzabile neanche che stessero mezz'ora ad ascoltare qualcuno. Per la fascia dell'infanzia (3-6 anni) l'offerta di video e filmati è stata forse un po' più strutturata perché i bambini sono più grandi, e abbiamo anche impostato qualche attività sincrona, quindi video collegamenti, una ripresa delle attività di musica, attività di psicomotricità da approfondire poi in famiglia. Ovvio, quando si tratta di bimbi così piccoli, era imprescindibile la presenza di un adulto che potesse fare da tramite, anche solo per effettuare i collegamenti. Allo stesso tempo era importante anche non affaticare troppo le famiglie che avevano già troppi problemi a cui badare. Abbiamo cercato di essere presenti con discrezione.”

Le famiglie dei bimbi, come affrontarono quei mesi primaverili del 2020?

“Hanno sofferto molto, non c’è dubbio. Dopo un primo momento di ingenuo entusiasmo collettivo, caratterizzato dai cartelli con scritte del genere “Andrà tutto bene”, “Dai che ce la facciamo”, è arrivato un momento in cui la realtà si è fatta sentire con tutto il suo peso. Le famiglie hanno faticato. Ovviamente dicendo famiglie si intende una realtà molto variegata. C'era chi aveva sostegni, chi poteva contare sull'aiuto dei nonni, oppure sulla possibilità di avere spazi all’aperto: giardini, etc. La vera preoccupazione nostra ha riguardato soprattutto quelle famiglie di cui non si avevano molte notizie. Famiglie che la comunità  rischiava di perdere. Famiglie che magari non avevano i mezzi per collegarsi. Tuttavia, a me sembra che in linea generale verso maggio-giugno c'è stato un assestamento. Ce l'abbiamo fatta. Le famiglie mi sembra fossero soddisfatte anche dell'offerta che siamo riusciti a proporre. Dopo sono subentrate anche preoccupazioni di ordine economico.”

Cioè?

“Ricordo per esempio il periodo dei centri estivi, a giugno 2020. I centri estivi potevano svolgersi, ma con rigidità e restrizioni notevoli da parte del CTS (Comitato Tecnico Scientifico) del Ministero della Salute. Era previsto un rapporto tra educatori e bambini di 1 a 5. I bambini dovevano stare assolutamente distanziati fra loro. Ciò ha inevitabilmente comportato dei costi delle rette piuttosto elevate e tanta preoccupazione delle famiglie anche rispetto alla riapertura a settembre.”

Quali le ripercussioni sui bambini per via di una ridotta socializzazione con i pari età?

“Per esperienza anche personale - ho una bimba di sei anni - abbiamo registrato da parte loro il grande desiderio di poter incontrare qualcuno dei propri amici, rivedere le maestre. Questo mi induce a pensare che ci sia stata sofferenza per questi bambini. Maggiore per gli adolescenti, anche perché anche in quest'anno scolastico 2020-21 hanno continuato a essere penalizzati rispetto alla ‘presenza’. I bambini e i ragazzi hanno sofferto, avranno qualche cicatrice che, pur rimarginandosi piano piano, lascerà il segno.”

Il futuro della scuola alla luce di questa esperienza?

“Credo che non sarà più la stessa, per certe cose non si tornerà più indietro. La didattica digitale resterà come normale integrazione di quella in presenza. Forse è questo l'unico ‘guadagno’ che abbiamo avuto in termini scolastici in questi mesi. Certamente la pandemia ci ha già costretto a rimettere in gioco tutto. A settembre abbiamo riaperto, ma non come se non fosse successo niente. Ci siamo basati su un'idea di bambino che vogliamo aiutare a crescere, un bambino autonomo, che sa collaborare con gli altri. Un bambino che non ha bisogno solo di conoscenza, ma di competenze da spendere con gli altri. In tal senso è in corso una piccola rivoluzione della didattica in tutti gli ordini, a partire dal nido e dall'infanzia primaria in avanti.”

In che termini?

“Cercando di proporre una didattica meno trasmissiva, ma più interattiva e partecipativa, introducendo la possibilità di utilizzare strumenti tecnologici. Penso ai nostri ragazzi delle medie che a scuola utilizzano il loro smartphone per le attività didattiche, con il rischio del quale siamo consapevoli che possono usarlo anche per altre cose. Dal punto di vista educativo, anche rispetto ai device, il messaggio non può più essere solo repressivo, ma si cerca di insegnare a usare questi strumenti in modo consapevole.”

Capofila del progetto

ACEG - Istituto Sacro Cuore
C.so M. Fanti, 89
41012 Carpi (Modena)
Tel: 059.688124
Mail: sacrocuorecarpi@tiscali.it
CF 81000250365

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